FAMIGLIA - REGIME PATRIMONIALE - Cass. civ. Sez. V Ordinanza, 22-12-2017, n. 30842

FAMIGLIA - REGIME PATRIMONIALE - Cass. civ. Sez. V Ordinanza, 22-12-2017, n. 30842

In tema di imposte sui redditi, l'applicazione del regime fiscale all'impresa familiare postula che ricorrano le condizioni previste dall'art. 5 comma 4, del D.P.R. n. 917 del 1986, ossia che vi sia: 1) l'indicazione, nella dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, delle quote attribuite ai singoli familiari e l'attestazione che le stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell'impresa in modo continuativo e prevalente; 2) l'attestazione di ciascun partecipante, nella propria dichiarazione, di aver lavorato per l'impresa familiare in modo continuativo e prevalente; 3) l'indicazione nominativa dei familiari partecipanti all'attività di impresa, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo d'imposta, regolarmente sottoscritti dall'imprenditore e dai familiari. Cass. civ. Sez. V Ordinanza, 22-12-2017, n. 30842

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi - Presidente -

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe - Consigliere -

Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere -

Dott. LUCIOTTI Lucio - Consigliere -

Dott. NONNO Giacomo Maria - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13409/2010 R.G. proposto da:

P.M., rappresentata e difesa dall'Avv. Nicolangelo Zurlo, con domicilio eletto presso l'Avv. Luciana Francioso, in Roma, viale Parioli n. 54, giusta procura speciale in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, n. 97/22/09, depositata il 3 aprile 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 ottobre 2017 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Svolgimento del processo

1. Con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, P.M., esercente l'attività di intermediario nel commercio di auto usate, impugnava la sentenza della CTR della Puglia, sezione distaccata di Lecce, n. 97/22/09 del 3/04/2009, con la quale veniva confermata integralmente la decisione della CTP di Brindisi n. 480/03/00, che aveva rigettato il ricorso dalla stessa proposto avverso l'avviso di accertamento ai fini IRPEF ed ILOR relativo all'anno 1992, con il quale le veniva contestata una maggiore imposta di Lire 54.226.000 per omessa rilevazione di costi e rimanenze iniziali, nonchè per mancata contabilizzazione di ricavi;

2. In particolare, la CTR osservava, per quanto ancora rileva in questa sede, che la P. svolgeva una vera e propria attività di compravendita di auto usate, così come ritenuto dall'Ufficio, e non di semplice intermediazione atteso che, da un lato, non risultavano "le procure a vendere necessarie per singolo autoveicolo" e, dall'altro, le bolle di accompagnamento o la compilazione del registro di carico e scarico non costituivano "prova esaustiva perchè potrebbero essere state compilate ad hoc e, tra l'altro, non tutte recano la dizione di consegna per incarico a vendere o equivalente". Inoltre, conforterebbero l'ipotesi della compravendita anche le schede extracontabili, "sia per le riparazioni effettuate sull'autoveicolo che per l'indicazione di valori di riferimento, entrambi non concordati e senza autorizzazione del presunto proprietario". Nè vale il confronto con altre annualità di imposta, non potendo la Commissione valutare una documentazione "oggettivamente diversa anche per consistenza e numerosità".

2.1. La CTR evidenziava, altresì, che la necessità del litisconsorzio non era stata rappresentata in sede di ricorso, con conseguente inammissibilità della relativa eccezione. Peraltro, la sig.a P. risultava fiscalmente come unica titolare dell'impresa familiare e, dunque, destinataria dell'avviso di accertamento; con la conseguenza che dell'impresa ne rispondeva lei sola, "proprio per la particolare configurazione giuridico - fiscale dell'attività che consente soltanto una diversa ripartizione degli utili e non altro".

3. L'Agenzia delle entrate resisteva con controricorso, con cui chiedeva il rigetto dei motivi.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione, falsa applicazione ed interpretazione aberrante degli artt. 101 e 102 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. In primo luogo si evidenzia che, trattandosi di accertamento unitario, deve necessariamente essere effettuato nei confronti di tutti i partecipanti dell'impresa familiare (la cui esistenza era nota al giudice di merito, oltre che puntualmente documentata) e non già della sola titolare dell'impresa, ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario così come sostenuto già in primo e secondo grado; secondariamente, che il menzionato rilievo non può essere trattato alla stregua di un motivo tardivamente dedotto, trattandosi di eccezione in senso lato e, dunque, rilevabile d'ufficio.

2. Con il secondo motivo di ricorso viene prospettata la violazione, falsa applicazione e interpretazione perplessa e pretestuosa del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5. D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40, comma 2, nonchè la motivazione insufficiente, perplessa ed erronea con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si osserva, da un lato, la carenza di motivazione in ordine alla questione relativa all'assenza di litisconsorzio necessario, che la CTR liquida sbrigativamente, e, dall'altro, la circostanza che i redditi dell'impresa familiare vanno imputati, pro quota, a ciascun compartecipante, indipendentemente dall'effettiva percezione degli stessi, sicchè le conseguenze dell'accertamento nei confronti dell'impresa familiare si riverberano inevitabilmente sui singoli partecipanti.

3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente contesta la violazione, falsa applicazione ed erronea e fuorviante interpretazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53, nonchè la motivazione insufficiente con riferimento ad un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5. Posta la presenza in atti della licenza di compravendita di veicoli usati per conto terzi, del registro di carico e scarico dei veicoli transitati nell'agenzia della sig.a P. e di n. 53 procure a vendere rilasciate da rivenditori privati, si deduce la singolarità della motivazione che avrebbe ritenuto insufficiente tale documentazione nonchè irrilevante il confronto con altre annualità, sebbene altra sentenza della CTP, passata in giudicato, con riferimento all'anno 1994 ma alla stessa documentazione presa in considerazione nell'avviso di accertamento, l'abbia ritenuta rilevante ai fini del superamento della presunzione di acquisto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, comma 4.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè motivazione carente in relazione ad un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si sostiene che la CTR non avrebbe proceduto a rettificare la tassazione sebbene avesse dato atto dell'esistenza di fatture emesse per provvigioni e di mandati a vendere rilasciati in qualità di intermediaria nella vendita di auto usate.

5. I primi due motivi, involgendo la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei partecipanti dell'impresa familiare in ragione della sussistenza di un litisconsorzio necessario con questi ultimi, possono essere trattati congiuntamente. Essi non sono fondati.

5.1. Non è dubbio che il litisconsorzio necessario è rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento e, quindi, è erronea l'affermazione della CTR per la quale la mancata formulazione dell'eccezione in sede di ricorso da parte della sig.a P. la rendeva per ciò solo inammissibile.

5.2. Peraltro, deve escludersi che, in ipotesi, possa configurarsi un litisconsorzio necessario.

5.3. Va, in primo luogo, evidenziato che, in tema di imposte sui redditi, l'applicazione del regime fiscale dell'impresa familiare postula che ricorrano le condizioni previste dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 4, ossia che vi sia: 1) l'indicazione, nella dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, delle quote attribuite ai singoli familiari e l'attestazione che le stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell'impresa in modo continuativo e prevalente; 2) l'attestazione di ciascun partecipante, nella propria dichiarazione, di aver lavorato per l'impresa familiare in modo continuativo e prevalente; 3) l'indicazione nominativa dei familiari partecipanti all'attività di impresa, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo d'imposta, regolarmente sottoscritti dall'imprenditore e dai familiari (Cass. 17/11/2010, n. 23170; Cass. 09/07/2013, n. 17010; Cass. 31/01/2017, n. 2472; Cass. 28/03/2017, n. 7995).

Sussistendo queste condizioni, il quarantanove per cento del reddito risultante dalla dichiarazione dell'imprenditore è imputato ai familiari che abbiano prestato in modo continuativo e prevalente la loro attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione agli utili. Peraltro, il dato letterale della disposizione (che fa riferimento alla dichiarazione dell'imprenditore) sembrerebbe escludere che siano riconducibili nel perimetro normativo anche i redditi emersi a seguito di accertamento condotto nei confronti dell'imprenditore (in questo senso la già citata Cass. n. 2472 del 2017, mentre sembra andare di contrario avviso Cass. n. 7995 del 2017).

5.4. Peraltro, ammesso che la ricorrente abbia provato che, in ipotesi, si possa effettivamente configurare una impresa familiare, non può non evidenziarsi che quest'ultima appartiene esclusivamente al suo titolare (da ultimo, Cass. 02/12/2015, n. 24560) e che i familiari che prestano attività lavorativa nella stessa sono semplici collaboratori e non ne sono contitolari, sicchè i compensi da loro percepiti sono qualificabili quali redditi di puro lavoro, non assimilabili a quelli di impresa (Cass. 02/12/2008, n. 28558; Cass. 30/12/2010, n. 26388).

5.5. La natura individuale dell'impresa familiare, la rilevanza della posizione degli altri familiari - che prestano la loro collaborazione e il loro apporto sul piano lavorativo - esclusivamente nei rapporti interni, nonchè la circostanza che l'accertamento tributario non estende i suoi effetti alle quote di partecipazione dei collaboratori, titolari di redditi di puro lavoro, esclude, pertanto, che sia configurabile una ipotesi di litisconsorzio necessario (cfr. Cass. 18/01/2005, n. 874).

Nè, del resto, è mutuabile la configurazione propria delle società, la cui disciplina non può essere applicata, per incompatibilità, all'esercizio dell'impresa familiare (si veda per tutte Cass., Sez. U, 06/11/2014, n. 23676).

5.6. Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: "Nel giudizio di impugnazione avverso l'avviso di accertamento concernente la rettifica del reddito di una impresa familiare non sussiste il litisconsorzio necessario tra il titolare dell'impresa familiare e i familiari che lo collaborano".

6. Il terzo motivo va disatteso.

6.1. Va, in primo luogo, evidenziato, con riferimento all'eccezione di giudicato esterno, che agli atti non risulta la produzione della sentenza della CTP alla quale la ricorrente fa riferimento in ricorso, cosicchè questa corte non può in alcun modo delibare il menzionato rilievo.

6.2. Secondariamente, il motivo è inammissibile. Invero, sebbene sia formulato in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 (ma forse si voleva far riferimento al n. 3) e 5, esso contiene una censura che chiaramente si riporta, nella sua interezza, ad un vizio di motivazione del giudice di merito, che non avrebbe debitamente motivato con riferimento ai fatti acquisiti agli atti del giudizio, idonei a superare la presunzione di acquisto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, comma 4.

Peraltro, il ricorrente avrebbe dovuto formulare idoneo motivo di sintesi ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Nella specie, invece, il ricorrente ha formulato un quesito di diritto attinente a circostanze del tutto estranee alla motivazione del giudice.

7. Il quarto motivo è inammissibile.

Anche in questo caso il motivo è formulato cumulando due vizi, quelli di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, anche se il riferimento è chiaramente al primo vizio e in questo senso va correttamente interpretato.

La ragione dell'inammissibilità risiede, peraltro, in un difetto di autosufficienza e di genericità. Si afferma, infatti, che la CTR avrebbe dato atto dell'esistenza di fatture emesse per provvigioni dalla ricorrente e di mandati a vendere rilasciati in qualità di intermediaria nella vendita di auto usate. Tale documentazione è indicata solo genericamente, ma della stessa non è stata offerta alcuna trascrizione, neppure a titolo esemplificativo, nel contesto del ricorso. Nè si dice a quali e quante fatture corrispondessero i mandati a vendere o in che misura la CTR avrebbe dovuto procedere a rettifica della tassazione in considerazione della documentazione probatoria offerta.

8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente a rifondere le spese di lite in favore dell'Agenzia delle entrate, che si liquidano come in dispositivo, avuto conto dello scaglione che va da Euro 26.000,01 ad Euro 52.000,00.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere in favore della controricorrente le spese di lite, che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2017


 

 


Avv. Francesco Botta

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